Ricordando il Perù

Dieci anni fa, un gruppo di istruttori ha voluto festeggiare gli allora 40 corsi roccia organizzati, andando a scalare alcune cime in Cordillera Blanca. Il gruppo, allora formato da Laura ed Alberto Busettini, Giuseppe Astori, Guido Candolini, Emilio Edel e Sergio Valle ha salito in meno di un mese il Nevado Pisco (5.752 mt), l’ Huascaràn (6.768 mt), e l’ Alpamajo per la via Ferrari (5.947 mt).

Il tempo è passato da quella avventura, ed altre importanti montagne extraeuropee abbiamo salito. Alberto Busettini non c’è più: anni dopo la montagna ha voluto tenere a se questo amico e fortissimo alpinista.

La scuola è sempre qua: con i suoi 50  corsi 56 anni di attività, è una tra le più vecchie in Italia. C’è da andarne orgogliosi.

Qui di seguito, la relazione che al tempo preparammo per quelle salite, ed alcune immagini da guardare cliccando qui.

Memorie di una spedizione in Perù e di altro…

Ricordi di qualche anno fa. Ho ricordi un po’ lontani di quando ero bambino, e con quella curiosità che è solo dei bambini, ascoltavo Cirillo raccontare: erano storie di montagne grandi e lontane, di Lacedelli, Bonatti, Hunza Mahdi ed il mio sogno andava a quel mondo di ghiaccio e infinite code di portatori sul Baltoro.

Ricordo invece bene quando sono partiti per l’Alaska: la partenza, gli sci rossi Lamborghini, e di quel grande freddo là sul Mc Kinley. Mi ricordo ragazzino, avevo 15 anni, per caso al De Gasperi durante un corso roccia, spettatore ed ascoltatore di alcuni alpinisti. Ricordo ancora i volti, il tintinnare dei chiodi sulle imbragature, corde, martelli, caschetti colorati. I loro racconti di cose che succedevano e sarebbero successe lassù in parete. Mi ricordo il “Clàp”, mi ricordo il rifugio, quelle brande cigolanti, Cirillo, Nilo, persone e cose che, si sarebbero un giorno ripresentate sulla mia strada.

Poi, come per tutti, gli anni sono passati, e mi sono ritrovato assieme ad altri, tanti amici a condividere quei ricordi, e la stessa passione; e così ci siamo avvicinati alla Scuola di Alpinismo di Tolmezzo. La Scuola: parte di quel gran patrimonio che assieme al gruppo speleologico, l’alpinismo giovanile, tutti i volontari che si prodigano a tenere in ordine i nostri sentieri, i nostri due rifugi e ancora e ancora…possiede la sezione di Tolmezzo e la Carnia; Un tesoro che abbiamo ereditato ed assieme continuiamo a migliorare.

Buon compleanno Scuola! Quest’anno, cadeva il quarantesimo compleanno della Scuola: quaranta corsi di roccia su in pesarine, da quando Cirillo ha cominciato. Volevamo lasciare un segno, volevamo portare i colori della Scuola e della Sezione su in alto, ed abbiamo scelto (e non a caso) il Sudamerica. Eravamo in sei: Alberto Busettini di Tarvisio, capo spedizione ed amico; ha già “sulla schiena” il Cho Oyu, il K2, e salite invernali di quelle che solo i grandi alpinisti sanno fare. Abbiamo la fortuna di averlo da un po’ d’anni con noi. C’era poi Laura Spitali, sua moglie ed inseparabile compagna di cordata, e poi Emilio Edel, Sergio Valle, Guido Candolini e chi scrive.

Sudamerica Sudamerica… Siamo partiti per Lima il 15 Luglio, e laggiù, ad attenderci, la “caruga”: quella nebbia densa che oscura cielo e anima di Lima e l’amico Luis, un medico che ci avrebbe assistito nella preparazione della spedizione. Caricati i bagagli su di un “improbabile” pullmino che loro chiamano “collectivo”, partiamo per Huaraz, la capitale della Cordillera Blanca, a tremila metri sul mare. Partiamo….ed il portellone posteriore dello scassato pulmino si apre di colpo: sull’asfalto di Lima un po’ dovunque bidoni, zaini, medicine, radio, sacchi a pelo, mappe, ramponi, borracce, passaporti, chiodi da roccia e da ghiaccio, reliquie di santi protettori degli alpinisti…

Huaraz ci avrebbe atteso caotica: mani e sguardi dovunque ad attentare al prezioso bagaglio dei “gringos”. Siamo per loro la ricchezza, pochi giorni di lavoro con noi, valgono un anno di fatiche da “campesino”, coltivatore. Poi l’accoglienza, a volte buona a volte incerta, l’acclimatamento ai 3000, l’abitudine alla loro vita. Ci sono tante cose da fare: cercare un cuoco, i portatori, il gas che non si trova, e cercare prima di tutto noi stessi, la nostra concentrazione e motivazione.

Guardare “in alto”. Poi viene ora di partire per il Nevado Pisco, che fa 5752 metri. Non e’ difficile la salita al Pisco; va bene per acclimatarsi, per provare i materiali e noi stessi. Scopriamo cosa vuol dire cercare aria dove ce n’è poca. Scopriamo che si muore: tre cileni restano la. Sotto l’Huandoy. Scopriamo che non c’è soccorso, e chi sbaglia paga. Respiro il dolore dei loro amici che dormono nella tenda accanto alla mia. Chiudiamo gli occhi, ed il giorno dopo arriviamo tutti in vetta alle 13.00 del ventun luglio. Ci abbracciamo, stendiamo il gagliardetto per la prima volta. La salita ci ha richiesto tre giorni.

Pochi giorni di pausa, il tempo di gironzolare per Huaraz e dintorni: vedo la miseria come non l’avevo ancora vista. Mi ritrovo a riflettere su cio’ che vedo, su me stesso, e su quante volte, troppo spesso, non abbia capito la fortuna che mi e’ stata data.

Huascaran!! È però subito tempo di ripartire: l’Huascaràn ed i suoi 6768 metri ci chiamano al nostro compito laggiù. E’ il ventisei luglio: al villaggio di Musho, ai piedi dell’ Huascaran, “trattiamo” per gli asini (i buros), chi li guida (gli harrieros), ed i portatori. Saliamo con i buros fino al campo uno, dove la notte trascorre bene. Nelle lunghe notti in tenda penso a casa, alla famiglia, alla bellezza della vita, penso che cosa meravigliosa è l’uomo ed alla bellezza che gli è dato di vivere.  Da li, l’Huascaran ci appare in tutta la sua grandezza. Il giorno dopo, conquistiamo il campo due, a 5000 metri.  La notte trascorre meno bene; la quota comincia a farsi sentire. Il giorno dopo, tuttavia, in poche ore di cammino ci porteremo al campo tre, sul ghiacciaio. Da li in poi, l’acqua non c’e’; bisogna sciogliere la neve se di vuole mangiare e bere.  La mattina dopo, la salita al campo “col”, la cosiddetta “Garganta” si svolge tra enormi seracchi pensili e crepacci: bisogna fare in fretta; solo la velocità può diminuire la probabilità che uno di quei “palazzi traballanti” ci caschi addosso. Al ritorno, ci diranno che un portatore di un’altra spedizione, non ce l’ha fatta. Dormiamo tra venti gelidi che soffiano veloci come la bora di Trieste. Il giorno dopo, il percorso per la vetta non finisce mai. Ancora qualche passaggio piuttosto tecnico, ed il trenta luglio, il gagliardetto è sulla vetta, la “cumbre”. Quasi settemila metri: chi di noi non li ha ancora “provati”, si chiede come devono essere gli “ottomila”. Lo chiediamo ad Alberto, che con la sua leggendaria “flemma” risponde  che “beh, si, ma poi ti abitui…”.

Ancora due giorni per ridiscendere e poi di nuovo Huaraz.

Alpamajo, sulle orme…”del gatto”. Ce ne sarebbe abbastanza per tornare a Tolmezzo, ma l’Alpamajo ci aspetta. Dicono sia la montagna più bella del mondo: non credo molto a queste graduatorie: credo invece che ognuno di noi abbia negli occhi la SUA montagna più bella, sia esso il Col Gentile o il Chomolungma, e qualsiasi graduatoria sia in realtà il risultato di chi ha una visione troppo stretta del panorama, sia esso metaforico o reale.

L’Alpamajo fa 5947 metri. La prima salita solitaria italiana, tanti anni prima,  e’ merito di quel Gattiboni Giuseppe detto “Gatto”, veterano della scuola di Tolmezzo. Ci doveva essere anche lui con noi, lassu. Ma credici Gatto, ti abbiamo pensato!!

Il due agosto partiamo; carichiamo i nostri zaini da 25 chili sul “collectivo”, e dopo qualche ora di carrettera improbabile, arriviamo a Cashapampa, villaggio di contadini, sul sentiero di Alpamajo. Ecco farsi avanti gli Harrieros: al solito si contratta, si discute, si preparano i buros, e si parte. Dopo due giorni di cammino arriviamo al campo base: e’ un luogo incantevole. Romàn, il nostro cuoco, prepara la cena: minestra, formaggio, e the a scaldare anima e corpo. L’indomani ci aspetta la salita al campo due, su fino al limitare del ghiacciaio. Purtroppo la mattina, ci attende una brutta sorpresa: nella notte, qualche buon anima ha pensato di portarci via fornelli e pentole. Per fortuna la solidarietà tra alpinisti è tanta e riusciamo a recuperare qualche cosa a prestito, che ci permetterà di proseguire. Arrivati al campo due, stiamo bene e ci sentiamo in forze, e decidiamo di proseguire su fino al campo “col” a 5300 metri. Questo c’eviterà’ di pernottare una notte ulteriore sopra i 5000 metri. Al campo col, appena varcata con gli occhi la cresta, ciò che vediamo ci lascia senza fiato: la parete dell’ Alpamajo si presenta a noi. L’ ho studiata talmente prima di partire, che mi pare di conoscerla a punto a punto. Di notte fa freddo: in tenda – 18°C. Sara’ il freddo, la quota o forse la salita che mi aspetta l’indomani, dormo poco e male, ma non sono l’unico.  Fa niente: alle cinque stiamo già camminando verso la crepaccia terminale. Solo la luce delle pile illumina quel mondo di ghiaccio dandogli un aspetto surreale. Un ora e mezza dopo, attacchiamo la “via degli Italiani” che in sette tiri ci porterà su quella lama di rasoio che è la cima. Fuori il gagliardetto, foto di vetta, ci si abbraccia. Poi giu’ di corsa in corda doppia. Al campo col, ci attende Romàn con un abbraccio caloroso ed una tazza di the caldo. Poi giù ancora verso il campo base che raggiungiamo al limitare del giorno. La sera, il fuoco di un falò ci riscalda. I pensieri volano a casa, volano a tutto ciò che di bello abbiamo vissuto in questo mese. E’ ora di rientrare alle nostre famiglie, da chi ci ha sostenuto ed aspettato in questo mese, al nostro lavoro.

Non siamo ancora atterrati Venezia, che Emilio mi chiede sotto quale montagna accenderemo il prossimo falò…

Giuseppe A.

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